sabato 15 febbraio 2014

139- Nostra madre terra(18) Ieri, 14 febbraio, le tartarughe sono uscite dal letargo. La natura riparte, la vita.

lunedì 3 febbraio 2014

138- La mia strada(2) Splendide figurine! Calciatori! Emozioni colorate! Blu, rosso, giallo, viola...Un mondo di sogni a 10 anni. Guadagnate, vinte, perdute, premurosamente appoggiandole ad un muro. Le lascio, volano, su, giù, ancora su, l'aria le trasporta ed eccole appoggiarsi dolcemente...a terra? sopra un'altra figurina? sì! ho vinto! 1952: non posso sapere cos'è il calcio, ma l'atmosfera, l'ambiente sociale gli dà valore.E così io vivo inconsapevole il piacere di quei francobolli (un po' più grandi) di carta, di volti, di mezzi busti arcobaleno. 
Mia madre che chiama uno di noi otto (allora ancora sette) e sbaglia nome (siamo troppi!). Allora fa l'elenco, cominciando dal primo: Gian Luigi! Eugenio! Adriano! Aldo! Ines! Mariarosa! Roberto! Poi arriverà Leandro. Ma io sono il primo e con me non c'è bisogno del papier, dell'elenco. A questa voce ho imparato fin da piccolissimo a fare mille cose. Che mi sono rimaste dentro, nei muscoli, nelle ossa. Nella testa. Facendomi pronto a mille forme, a mille gesti, a mille compiti. In modo fluido, naturale, anche nel dolore. 

Ragazzino di otto, dieci anni. Il pozzo là nell'orto. L'acqua fresca. La carrucola per issarla a bordo. Con Valerio che un giorno viene trascinato giù nel fondo e miracolosamente si salva. Un bel pozzo, mitico, antico. Il rumore familiare della catena che si arrotola, dolce. Riempio il mio secchio. Che dolore al braccio, ma salgo al secondo piano. Mi sembra ogni volta di svenire, giorno dopo giorno resisto. Settimane, mesi, anni. Un giorno il municipio fa apparire una fontanella in fondo, all'inizio del viottolo che conduce verso casa. Quelle pesanti, di ghisa. Così almeno ricordo. Pesanti per me, che ora devo portare il secchio di lamiera zincata (ora lo so, e c'è ancora quel secchio). Lo porto per più di 200 metri, tale è la distanza da casa. Pesante per le mie braccia di ragazzino. Braccio destro. Sosta. Respiro. Braccio sinistro. Sosta. Smorfia di sofferenza infantile. Respiro. Braccio destro. Il caro, vecchio, tenero pozzo, con la  sua acqua freschissima, ora va dismesso. Mi dispiacerà, stranamente, teneramente. Verso il 1952 inizia il mio cammino inconsapevole verso la modernità. Verso la felicità? No! La mia felicità dipenderà da ben altro. Arriverà l'acqua corrente in casa, e poi tutte le altre comodità. Una vita più soft, più comoda, senza più smorfie di dolore alle braccia. Più comoda, sempre felice, ma per altre luminosità, non per le comodità. Così io sento e credo. Anche oggi, a 72 anni... 

Le mie figurine! "Gian Luigi, è maggio, è il mese della Madonna. Il mese dei fioretti." Mi obbligano ad un fioretto che non capisco: immolare alla Madonna le mie figurine. Mia madre. Perchè? Lacrime amare, salate, senza fine, mentre le fiamme della cucina economica si dipingno dell'arcobaleno di colori di quei calciatori. Cenere, come il mercoledì delle ceneri. Pulvis eris et in pulverem reverteris. Eri terra impastata e terra ritornerai. Dolore, non senso, a 10 come a 72 anni. Disperazione allora, serenità dolorosa adesso. La serenità di accettare ciò che non posso capire e non posso cambiare. 

Un salto e vedo gli anni '70. Milano. Il "compagno" Zibecchi viene schiacciato da un mezzo della Celere. Sì, era la Celere a scandire i ritmi dei nostri cortei. Cantiamo: "compagno Zibecchi sarai vendicato dalla giustizia del proletariato..". Il proletario laureato esprime così la rabbia e la speranza. Con l'eskimo verde speranza. La speranza nella partecipazione. "La libertà non è star sopra un albero...la libertà è partecipazione." Vado allora in Comune e il proletario laureato dichiara il falso: "Titolo di studio?" "Scuola media" E così ottengo il libretto di lavoro che mi consente, per alcuni anni, l'esperienza come operaio. Bracciante agricolo. Operaio in un mulino. Operaio esterno alla Falck per demolire i mattoni refrattari degli altiforni. Operaio in un'azienda che coltiva funghi. La fatica fisica. Lavorare, mangiare, dormire. Per lavorare, mangiare, dormire. Sporco di terra, di farina, di sudore, di letame. Ho vissuto il mondo degli ultimi. Come mio padre. Avevo 3 o 4 anni e mio padre, operaio,  ogni domenica pomeriggio faceva 70 km in bicicletta per andare a lavorare a Milano. Ogni sabato pomeriggio tornava a casa in bicicletta. Fatica, e solo una notte con mia madre e solo mezza giornata con noi, a casa. Ogni tanto sul portapacchi un involucro con del taleggio che aveva rimediato in qualche casolare di pianura, lungo la strada. Povertà. Nebbia. Gelo. Caldo. Pendolare. Fatica. C'è l'armistizio e i Tedeschi fuggono dando tremendi colpi di coda. Il Messina è braccato e arriva a casa nostra. In solaio le fascine lo coprono, lo sommergono, lo nascondono. Potevamo tutti essere bruciati per questo. Ma non lo scoprono. La sua casa sarà traforata dai proiettili da sembrare uno scolpasta. Ma non lo trovano. Ansia, paua, tremore. Sollievo duro e pensoso. 

Ogni giorno mia madre ci fa recitare: "Signur, al papà faga troà ol laurà apref a cà", il lavoro vicino a casa! imploravamo pregando. Ecco arrivare il giorno di gioia e mio padre è assunto al Cristini, un feltrificio a duecento metri da casa! Sono un bambino e alle 12 gli porto la "schiscèta" col pranzo. Mio padre è là, in una buca dove si apre la bocca della caldaia che manda vapore caldo in tutto il feltrificio. Va a carbone. Mio padre è nero come un minatore. E' piccolo, magro, sorridente, non mostra la fatica. E' vicino a casa e ogni sera è con noi. Questo gli basta. Mio padre. Diploma di sconda elementare. Laurea in operosità. Master in fatica dura. Per vivere e farci vivere. 

Ho 5 anni o forse otto. Chiedo a mia madre: "Come nascono i bambini?" "Lo saprai quando sarai grande". Un'occasione perduta da mia madre. E da me. Inconsapevoli del valore di vicinanza contenuto in quella domanda e del potere deflagrante contenuto in quella risposta! Non ho più chiesto. Non c'è più stata intimità profonda. Ognuno per la propria strada. Tenendoci a vista con affetto, ma senza il sapore dolce dell'intimità.

Ho 16 anni. Al Carrobiolo di Monza. Voglio diventare Barnabita. Io bimbo sognavo di diventare Papa. Mi sono messo su quella strada con l'impegno di un bambino:"Un giorno scoprirò, seduto ad un tavolo con i grandi della Chiesa, dov'è il trucco". Me lo dicevo sentendo nel mio cuore di bambino che qualcosa non tornava fra quello che il parroco diceva e quello che vedevo nel piccolo ambiente del mio pase. Troppa distanza sentivo fra parole e vita osservata. A 16 anni il noviziato. E il padre maestro che di sua iniziativa mi parla di chiave e di serratura dove la chiave è introdotta: maschio e femmina. 16 anni! Una liberazione! Dentro di me, d'improvviso, mi sento leggero, libero, felice. Volo in cortile a tre gradini alla volta: mi sento volare leggero. Il segreto dela vita.

Non potrò più fare a meno di quella leggerezza. E a 22 anni, dopo il baccellierato in Sacra Scrittura e Storia della Chiesa presso l'Università di Propaganda Fidae decido. Mi inginocchio davanti al Padre Generale: "Non riesco a seguire queste regole. Lascio" "Fai quello che puoi, ma resta." Ecco il trucco che avevo fantasticato da bambino: fai quello che puoi, e se non ce la fai a sublimare trovati uno sfogo, ma resta. No, lascio. Da allora ho riacciuffato la leggerezza, il volo vissuti a 16 anni. Hanno acompagnato da allora tutta la mia vita, come un filo prezioso che ha dato senso a gioie e dolori. L'intesa profonda che cercavo a 5 anni, il disvelamento a 16 anni, la libertà, a 22 anni, di cercare la mia strada, tutto "intero", finalmente, testa, cuore, sessualità. 72 anni: guardo indietro e mi dico "ce l'ho fatta!" E finchè avrò energie so che potrò continuare a lavorarci, per continuare a raccogliere una vita "intera". Io. E accanto Marilù.

sabato 1 febbraio 2014


137- Le canzoni che amo(1)
Immagina non esista paradiso
È facile se provi
Nessun inferno sotto noi
Sopra solo cielo
Immagina che tutta la gente
Viva solo per l’oggi

Immagina non ci siano nazioni
Non è difficile da fare
Niente per cui uccidere e morire
E nessuna religione
Immagina tutta la gente
Che vive in pace

Puoi dire che sono un sognatore
Ma non sono il solo
Spero che ti unirai a noi anche tu un giorno
E il mondo vivrà in armonia

Immagina un mondo senza la proprietà
Mi chiedo se ci riesci
Senza bisogno di avidità o fame
Una fratellanza tra gli uomini
Immagina tutta le gente
Che condivide il mondo

Puoi dire che sono un sognatore
Ma non sono il solo
Spero che ti unirai a noi anche tu un giorno
E il mondo vivrà in armonia